A fin di bene
«C’mon Sandy, I tell you a bit of stories and lies».
Dennis, un vecchio surfista californiano, mi invita spesso ad ascoltare i suoi coloriti racconti immersi negli splendidi tramonti della baja. La schiuma della birra si confonde con quella delle onde appena cavalcate. Il ricordo va alle gesta dei più grandi surfisti che ancora ci ispirano…
«Stories and lies», storie e bugie, così aveva detto Dennis.
Un’illuminazione, perché in questo consiste la chiave del mio lavoro. Quello di portare una storia, la mia, di snowboarder e surfista prima, e di artigiano poi, dentro la sottile illusione di vivere l’epopea delle origini, quando tutto era ancora – e solo – impresa umana.
Lo faccio «barando», riproponendo cioè modelli e materiali naturali che attingono a quei «sapori» attraverso il «sapere» dell’avanguardia e della più avanzata ricerca tecnologica. Lo faccio innanzitutto per me, secondo il mio estro e la mia forma personale. Lo faccio per migliorare le mie prestazioni, dialogando, condividendo – spesso anticipando – umori e sensazioni di quanti incontro, come il vecchio Dennis, «sul campo» delle reciproche passioni. Ma sempre ascoltando le loro storie, e magari qualche suggestiva bugia.
La mia forma
«Alessandro, sei sempre scalzo, come la cantante Sandie Shaw».
Non avevo tempo di ascoltare l’ennesimo, monotematico, rimprovero di mia madre. In tv stavano trasmettendo Apocalypse Snow ed io ne rimasi letteralmente schienato.
Era il 1983, avevo 9 anni e le evoluzioni sulla neve con sci e snowboard dei protagonisti di quel docu-film, avevano rapito ogni mia concentrazione. Quell’episodio segnò il mio duplice destino, quello nominale e quello professionale: io, Sandy, coi piedi scalzi, volevo un mio snowboard. E lo volevo come dicevo io. Come avevo voluto prima lo skateboard quando ancora in Italia non erano commercializzati, il windsurf e la bicicletta da “montagna”. Corsi ai ripari e me lo inventai.
Ci ho messo 30 anni, lavorando nel commercio settoriale per conoscere il mercato, collaborando con artigiani per imparare il mestiere e creare prototipi, mettendomi alla prova sulle piste innevate per perfezionare le mie prestazioni, allenando le squadre di snowboard per partecipare ai mondiali, fino alle Olimpiadi.
Ci ho messo 30 anni, ma ho avuto ciò che desideravo dalla mia tavola: estetica, funzionalità e prestazioni.
Chi m’ha visto surfare ha più volte sentenziato: «Sandy hai un gran piede». Andatelo a dire a mia madre.